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Arrival: fantascienza e riflessione linguistica targate Villeneuve

La delicata riflessione sul rapporto fra linguaggio e interpretazione del mondo e il dramma personale della coraggiosa protagonista sono al centro di Arrival, gioiellino di fantascienza firmato Villeneuve

Non è mai un caso che una pellicola ottenga molte candidature agli Academy Awards.
Non fa eccezione Arrival di Villeneuve, che si è assicurato ben 8 nomination agli Oscar del 2017 – fra cui miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura non originale – riuscendo a portare a casa una statuetta (quella per il miglior montaggio sonoro al fonico canadese Sylvain Bellemare).

Un tentativo di comunicazione da parte degli “eptapodi”, le forme di vita aliena in “Arrival”

Arrival: partiamo dal principio (o forse no?)

La linguista Louise Banks (Amy Adams), docente universitaria, è madre inconsolabile di Hannah, una ragazzina morta prematuramente.
Ma quella che sembra la fine è in realtà l’inizio di una storia straordinaria.

Quando dodici misteriosi monoliti – che hanno tutta l’aria di essere delle navi extraterrestriappaiono contemporaneamente in diversi punti della Terra, Louise e altri studiosi vengono reclutati dall’esercito degli Stati Uniti per cercare di comunicare con gli alieni.

Nel team anche il fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), mentre il comando della squadra è affidato al severo colonello Weber (Forest Whitaker).

Squadre simili vengono formate in tutti i paesi coinvolti dalle improvvise apparizioni e le equipe delle basi sparse in tutto il mondo si tengono costantemente in contatto, cercando di coordinare le operazioni.

Ben presto, però, le differenze di vedute determinano fraintendimenti e contrasti sia tra le nazioni che in seno agi stessi team, fra scienziati e militari.

La linguista Louise Banks e il fisico Ian Donnelly ascoltano il discorso del Colonello Weber insieme ad altri scienziati

Arrival evidenzia problematiche inerenti il linguaggio e la comunicazione tra forme di vita intelligente

La complessità del compito a cui è chiamata la linguista statunitense è evidente fin da subito: dovrà infatti trovare un sistema di segni comune attraverso il quale comunicare con gli alieni.

Questo pone una serie di problemi: infatti anche la formulazione del semplice quesito «Qual è il vostro scopo qui?» presuppone che le entità comprendano il concetto di domanda e di intenzione, nonché la differenza fra “me”, “te, “noi” e “voi”; inoltre è necessario disporre un vocabolario sufficiente per poter interpretare le loro risposte.

La riflessione linguistica è forse la parte più riuscita ed affascinante dell’intero film, che si sofferma in particolare su come la nostra lingua condizioni il nostro modo di pensare, vedere e di approcciare il mondo (la cosiddetta Ipotesi di Sapir-Whorf risulta, infatti, essere l’elemento fondate del plot).

Louise Banks (Amy Adams) cerca di tradurre alcuni pittogrammi in una delle scene del film

Arrival: struttura dell’intreccio e influenze

Sebbene il film sia abbastanza statico per il genere e conti poche ambientazioni, non mancano momenti di suspance, come la scena nella quale il team riesce a penetrare il misterioso oggetto e dove il senso di inquietudine e di attesa è reso sapientemente attraverso il sonoro e dettagli come una mano tremante o il respiro affannoso della protagonista.

La narrazione prosegue in un crescendo di flashback/flashforward che ci mostrano momenti della vita di Louise e della piccola Hannah e che man mano svelano la storia.

Il film – che ha i risvolti del dramma e del thriller psicologico – si inserisce in un filone preciso della fantascienza, mettendo al proprio centro l’uomo e il concetto di umanità all’interno di una dimensione “intima” e “personale”, come hanno fatto in tempi recenti Gravity e Interstellar.

Non mancano, poi, i riferimenti colti, quali le astronavi ovali che fluttuano nel cielo e che inevitabilmente rimandano al monolite nero di 2001, Odissea nello Spazio.

Uno dei misteriosi “monoliti” in passaggio sopra una città

Guardando la linguista Louise Banks è, inoltre, impossibile non pensare al personaggio di Ellie Arroway, la determinata scienziata interpretata da Jodie Foster in Contact. E se in quel film la dicotomia rappresentata da Ellie e dal coprotagonista maschile era quella fra scienza e religione, qua la Banks e il fisico Donnelly danno voce rispettivamente a lingue naturali e matematica, parole e numeri.

Ciò che colpisce veramente in Arrival, oltre alla riflessione sulla lingua, è l’impianto narrativo non convenzionale, il tutto impreziosito dalla straordinaria Amy Adams in grado di reggere quasi da sola l’intero film, regalandoci un’interpretazione intensa, toccante, commuovente.

Grazie per aver letto questo articolo, speriamo che tu l’abbia trovato interessante!
Se vuoi saperne di più su Arrival ti consigliamo di consultare la scheda del film.

Roberta D'Addario
Roberta D'Addariohttps://msha.ke/everycurlanidea/
Professionista digitale e essere umano in divenire. Esploro il mondo in cerca di avventure, che siano in una metropoli caotica, in mezzo a un bosco o sullo schermo del mio pc. Amante della musica, del cinema e delle lunghe passeggiate. Rincorritrice di sogni e di autobus.

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